Europa
in stallo
Di
Carlo Pelanda (11-5-2009)
La riduzione
del costo del denaro allo 1% era
scontata perché annunciato. La sorpresa, invece, è che la Banca centrale europea non
esclude ulteriori tagli perché prevede un crisi recessiva duratura. Doccia fredda.
Perché?
La Bce ragiona con un orizzonte
temporale di 18 mesi. Quindi ritiene che nel prossimo anno e mezzo, visti i
dati correnti, l’eurozona resterà in crisi. Negli stessi giorni la Riserva federale ha
annunciato che la ripresa in America, pur lenta inizialmente, sarà già visibile
nel secondo semestre del 2009. Tale quadro, inserendo anche la già vivace
ripresa in Cina, fa intendere che l’eurozona resterà nei guai mentre il resto
del mondo tornerà in crescita. Molti commentatori hanno voluto ricordare che
nell’estate del 2008, poco prima del crollo sistemico in America che ha
innescato la caduta a picco della domanda globale, la Bce aveva alzato il costo del
denaro vedendo più un rischio di inflazione che di crisi deflazionistica. Tale
errore ha minato la credibilità dell’Istituto di Francoforte. Ed ora c’è il
dubbio che ne stia facendo un altro di eccesso di pessimismo. A cosa credere?
Purtroppo lo scenario negativo della Bce appare molto realistico. L’impatto
recessivo, che a sua volta – per isteresi – innesca dinamiche peggiorative sta colpendo l’eurozona in modo grave perché
non contrastato dalle politiche economiche dei governi, pur attutito da queste.
Francia, Germania ed Italia, che insieme fanno il 75% del Pil complessivo
dell’area euro, hanno modelli economici definiti di “economia sociale di
mercato”, di fatto socialisti. “Socialisti” perché il 50% della popolazione, ed anche oltre,
dipende direttamente o indirettamente dal denaro pubblico. Per questo fanno
poca o nulla crescita interna e dipendono dalle esportazioni per incrementare
il loro Pil. La caduta della domanda globale le ha abbattute. E la mancanza di
capacità di crescita interna, diversamente da America e Cina, non permette loro
di bilanciare tale perdita di Pil. Per questo è previsto scendere nel 2009 di
quasi il 5% in Germania e del 4,5% in Italia, Francia attorno al 4%. Per tutti
la crescita nel 2010 resterà vicina allo zero. Non solo. Il gap di crescita
viene bilanciato dall’aumento del deficit e quindi del debito pubblico. Che,
combinato numericamente con la discesa del Pil, è previsto aumentare all’80%
sul Pil stesso in Germania, attorno al 116% in Italia, ecc. Da un lato, il
modello sociale europeo attutisce l’impatto recessivo via ammortizzatori
finanziati con denaro pubblico. Dall’altro, non evita la disoccupazione, in
crescita del 2% in Europa, con picchi in Spagna, alcune aree della Germania,
devastante nel Sud italiano. Inoltre il
modello economico detto rallenta l’aggancio alla ripresa esterna ed il
riassorbimento della disoccupazione. Ci sono voluti 10 anni per riassorbire
quella generata dalla crisi dei primi anni ’90. Ci sono voluti tre anni prima
che l’Europa riagganciasse la ripresa globale, iniziata ai primi del 2003, dopo
la crisi globale 2001 -2002. Ora si sta ripetendo lo stesso scenario. E ciò
succede, semplicemente, perché il modello di economia statalizzata che prevale
nell’eurozona non funziona. Questa è la verità tecnica difendibile sul piano
scientifico. Ma non riesce a produrre conseguenze politiche perché nelle
società francese, italiana e tedesca, appunto, più del 50% della popolazione
vive di Stato, ed ha l’interesse a mantenere lo statalismo economico. Solo una
minoranza vive di mercato ed ha interesse a cambiare il modello. Rigidità ed
inefficienza economiche mettono l’Europa in stallo ed a rischio di
impoverimento e sfaldamento. Pensateci.
www.carlopelanda.com